Benessere: l’importanza dell’autoaccettazione e dell’autocompassione

Autoaccettazione
Tu stesso, come chiunque altro nell’universo, meriti il tuo amore e il tuo affetto
(Gautama Buddha)

 

Da alcuni anni la psicologia pone particolare attenzione a un concetto molto importante per il benessere psicologico: l’autoaccettazione.

Ne parla approfonditamente Steven Hayes nel suo famoso libro Smetti di soffrire, inizia a vivere, nel quale insegna a vivere la propria vita in maniera ricca ed equilibrata, neutralizzando gli effetti negativi dei nostri pensieri. Si tratta di un libro di autoaiuto, pieno di esercizi pratici e chiare spiegazioni, che ti consiglio se vuoi iniziare ad adottare un atteggiamento radicalmente differente nei confronti del tuo disagio.

Ma cos’è l’autoaccettazione? Vale la pena sottolineare che si tratta di un concetto che, sebbene correlato, è ben distinto dall’autostima.

Mentre infatti l’autostima si riferisce al giudizio di valore che diamo a noi stessi, l’autoaccettazione si riferisce al grado in cui siamo capaci di accogliere tutte le parti di noi stessi (sia quelle positive che quelle meno positive) per come sono. Manca quindi il giudizio di valore caratteristico dell’autostima. Si tratta invece di un’accettazione incondizionata che porta a un’affermazione di noi stessi.

Noi possiamo riconoscere i nostri punti deboli, i nostri limiti, le nostre paure, i nostri pensieri negativi, e al tempo stesso accettare questi aspetti per come sono, non consentendo ad essi di interferire con il nostro benessere.

Molti di noi sono al contrario inclini a punire se stessi, ad autocriticarsi costantemente. Ciò non sorprende, dal momento che nella nostra società ci viene spesso insegnato che essere duri con noi stessi ci porta ad ottenere dei risultati, motivandoci e misurandoci contro gli altri. Nelle società occidentali l’autocritica eccessiva è ritenuta la chiave del successo.

Ma le cose non stanno proprio così. La ricerca ha dimostrato, al contrario, che l’autocritica eccessiva può portare al calo dell’autostima, all’ansia e alla depressione, e che la felicità e il benessere personale sono strettamente legati alla capacità di autoaccettarsi incondizionatamente.

L’autoaccettazione, infatti, incrementa la nostra energia interiore, la nostra capacità di affrontare gli ostacoli e di eccellere nel lavoro e nella vita sociale.

Il linguaggio: un’arma a doppio taglio

Uno degli aspetti sottolineati da Hayes nel suo libro è il ruolo del linguaggio interno, ovvero dei nostri pensieri, come fonte di sofferenza. Questo perché generalmente siamo abituati a trattare i problemi secondo la formula: “Se hai un problema, trova un modo per sbarazzartene”.

Questa strategia è ottima per i problemi esterni a noi stessi: un problema sul lavoro, un problema di soldi, etc. Il punto critico è che spesso tendiamo ad applicare questa strategia anche ai nostri pensieri o alle nostre emozioni. Come? Provando a sbarazzarcene.

Questo significa che nei momenti in cui viviamo un maggiore disagio psicologico, una maggiore ansia, un senso di abbattimento, e abbiamo una serie di pensieri negativi che ci condizionano, ci viene spontaneo cercare di sopprimere queste emozioni e questi pensieri, tentando di scacciarli via.

Se anche tu ti ritrovi in questo atteggiamento, ho due notizie da darti: la prima è che questa strategia non solo non funziona, ma paradossalmente non fa altro che aumentare la sofferenza. La seconda è che c’è un modo più funzionale per smettere di soffrire.

Come avrai intuito, questo modo migliore di affrontare il disagio è governato dalla parola “accettazione”.

Andando nel pratico, significa che il mio pensiero “ho fatto una figuraccia” e magari la mia emozione di vergogna diventano un problema sempre più grande sia che io continui a rimuginarci su sia che tenti di scacciarli via. Tutto ciò si chiama evitamento esperienziale, il quale non fa altro che aumentare la mia sofferenza psicologica.

L’evitamento esperienziale dimostra infatti che siamo fusi con i nostri pensieri. Vale a dire che sono molto invischiato nel pensiero “ho fatto una figuraccia”, come se quel pensiero rappresenti in pieno me e la mia persona.

Tutte le persone hanno dei pensieri negativi, ma non tutte sviluppano anche ansia, depressione, sintomi psicosomatici, etc. Questo perché non sono i pensieri in sé a creare la sofferenza, ma l’atteggiamento che abbiamo nei loro confronti. Se siamo eccessivamente fusi con i nostri pensieri negativi, questi condizioneranno la nostra vita. Se al contrario li accettiamo per quello che sono, lasciandoli liberi di entrare e uscire nella nostra mente, essi cesseranno di avere il potere sulla qualità della nostra vita.

Questo atteggiamento più positivo nei confronti dei nostri pensieri può essere riassunto nella formula:

“guarda i tuoi pensieri, piuttosto che dai tuoi pensieri”

In altre parole, avere dei pensieri è differente dall’adottare i propri pensieri.

Sii compassionevole nei confronti di te stesso

Un concetto strettamente legato a quello di autoaccettazione è l’autocompassione.

L’autoaccettazione si raggiunge infatti nel momento in cui adottiamo un atteggiamento compassionevole nei confronti di noi stessi.

La parola compassione ha un ruolo centrale nella tradizione buddhista, ma nella nostra cultura tendiamo ad associarla al termine “pietà”.

Pietà e compassione, però, sono due emozioni distinte.

Compassione deriva dal latino cum patior, ovvero “soffrire insieme a”, ed è un termine molto più vicino all’empatia che alla pietà. Essere compassionevoli nei confronti di qualcuno significa dare voce al suo dolore e al tempo stesso dargli la possibilità di viverlo senza farsi annientare.

Per imboccare la strada dell’autoaccettazione incondizionata, lo stesso atteggiamento compassionevole dovrebbe essere rivolto verso noi stessi.

Questo atteggiamento apre la strada a una migliore accettazione della nostra vita emotiva e ci allontana da reazioni ansiose o depressive. Una ricerca del 2008 pubblicata sulla rivista Psychoneuroendocrinology ha dimostrato inoltre che i soggetti con un atteggiamento maggiormente autocompassionevole presentano minori livelli di cortisolo (l’ormone dello stress) nel loro corpo. Questo studio sottolinea, ancora una volta, la grande influenza della nostra vita psicologica sul nostro corpo.

Ma cosa significa nel concreto essere autocompassionevoli?

L’autocompassione è:

  • essere gentili con noi stessi, comprendendo quando stiamo soffrendo per qualcosa;
  • prendere consapevolezza che i nostri errori, le nostre perdite, i nostri fallimenti, il nostro sentirci rifiutati, ci caratterizzano come esseri umani, essendo esperienze comuni a tutti;
  • vivere i nostri momenti di sofferenza con una consapevolezza bilanciata, senza né esagerare né minimizzare i problemi o gli stati di sofferenza. Questo processo, molto importante, si chiama mindfullness, e deriva direttamente dalla tradizione buddhista.

Vediamo ora cosa NON È l’autocompassione:

  • Non è autocommiserazione. Autocommiserarsi significa immergersi nei propri problemi dimenticando di non essere gli unici a provare dolore o ad avere difficoltà. Essere compassionevoli con noi stessi significa al contrario vedere le cose esattamente per come sono, osservando il proprio dolore o i propri problemi in prospettiva;
  • Non è autoindulgenza. Provare compassione per se stessi non significa fuggire dalle responsabilità o essere pigri. “Oggi sto male, quindi per essere gentile con me stesso mangerò una coppa di gelato e guarderò tutto il giorno la TV”: questa è auto-indulgenza, ed è piuttosto differente dall’auto-compassione. Essere compassionevoli con noi stessi significa alleviare la sofferenza, cercando di essere felici e in salute nel lungo termine. Fare semplicemente un’attività piacevole talvolta può minare il benessere (ad esempio mangiando eccessivamente, assumendo droghe o fumando), mentre essere auto-compassionevoli promuove il cambiamento positivo, osservandoci senza paura e senza condanna.

Smetti-di-soffrire-inizia-a-vivere

Tra i libri di autoaiuto, questo di Hayes è sicuramente un valido strumento, sia per gli esercizi proposti che per la scrittura molto semplice e scorrevole.

Acquisire un atteggiamento autoaccettante non è una meta immediata. Occorre gradualmente liberarsi dalle proprie abituali modalità di relazionarsi alla propria vita mentale e adottare un modo di osservarsi radicalmente differente.

Si tratta però di un lavoro sulla propria persona che tornerà utile in tutte i momenti di crisi e difficoltà, aiutandoci a vivere la vita in maniera più piena e ad affrontare i problemi in maniera più efficace.

Chi sono

dott. Andrea Epifani - Psicologo Bologna

Sono psicologo, psicoterapeuta cognitivo-comportamentale e dottore di ricerca.

Oltre a lavorare nel mio studio privato a Bologna, sono professore universitario a contratto di "Psicologia clinica" presso l'Università degli Studi di Urbino "Carlo Bo".

Le mie aree di intervento riguardano principalmente i vari disturbi d'ansia (attacchi di panico, disturbi ossessivo-compulsivi, fobia sociale...), i disturbi dell'umore e le problematiche relazionali.

Per appuntamenti o informazioni:
Studio: Bologna, Via Umberto Giordano 11.
Tel.: 389-0443350
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