4 falsi miti ai quali le persone felici non abboccano

Quattro falsi miti ai quali le persone felici non abboccano

È stato detto tanto sulla felicità. Ciò perché tutti la desideriamo, ma spesso sembra volerci eludere, come fosse un premio irraggiungibile. Forse però crediamo a molte cose riguardo la felicità che semplicemente non sono vere.

Ecco quattro miti sulla felicità ai quali le persone realmente felici difficilmente abboccherebbero:

Non puoi essere quello che sei

Nel suo libro Insieme ma soli. Perché ci aspettiamo sempre più dalla tecnologia e sempre meno dagli altri, Sherry Turkle sostiene che ciò che le invenzioni tipo Facebook offrono a tutti è un modo di connetterci agli altri senza farlo realmente.

Infatti, nei social network tendiamo a presentare l’immagine di noi che vogliamo gli altri vedano, dal momento che abbiamo paura di mostrare chi siamo realmente. Così noi fabbrichiamo noi stessi, poniamo attenzione a postare solo immagini che attirano complimenti, modifichiamo i post finché non ci sembreranno efficaci. Nel frattempo (come afferma Turkle) riteniamo di aver stabilito un contatto con gli altri. Ma la realtà è che siamo disconnessi, non solo dagli altri, ma principalmente da noi stessi.

Ciò che le persone felici sanno è che l’idea di dover essere diversi da come si è in realtà (pensare solo le cose giuste, tentare di misurarci con gli altri, cercare riconoscimenti e premi) è un mito. Ed è il mito che rende le persone infelici, perché invece di cercare di conoscere te stesso, capendo chi sei realmente, sei troppo impegnato a imparare a pretendere di più.

Chi è realmente felice ha da tempo abbandonato il bisogno di essere premiato e ammirato, e sa che la vera felicità sta nel lasciare andare il bisogno di essere ciò che non si è.

Insieme ma soli

La felicità è fuori di noi

Soldi, fama, prestigio, sono tutti paradossi. Si basano sull’assunzione che più hai, meglio starai. Stando a questa assunzione, i dati di ricerca dovrebbero dimostrare che le persone più ricche sono molto più felici di quelle che non lo sono, come a dire che a un aumento X di ricchezza corrisponde un aumento X di felicità.

Semplicemente, però, le cose non stanno in questo modo. La ricchezza, al di là di ciò di cui si ha bisogno per vivere, non è correlata con la felicità. Questa è la ragione per cui lo psicologo americano Daniel Gilbert afferma che tre mesi dopo aver vinto alla lotteria e tre mesi dopo aver perso l’uso degli arti, i paraplegici e i vincitori alla lotteria sono felici allo stesso modo.

Perché le cose al di fuori di noi non hanno nessuna relazione con la felicità. Ciò che conta veramente, come sanno bene le persone veramente felici, è ciò che avviene dentro di noi, come il nostro senso di potere personale, il senso di apprezzamento e gratitudine per la vita, le relazioni che sviluppiamo con gli altri, le capacità che coltiviamo. Le persone felici si concentrano nel fare le cose che amano, come passare del tempo con i propri cari, vivere godendo dei momenti presenti e migliorarsi.

La felicità è una meta

“Se avrai X, starai meglio”. Puoi sostituire a X quello che vuoi: una nuova macchina, un lavoro migliore, una vacanza, una relazione migliore, un bambino. L’assunzione è che una volta che otterrai quella cosa, sarai felice.

La verità è che, come afferma Martin Seligman (pioniere della psicologia positiva e scopritore del fenomeno dell’impotenza appresa), siamo su un “tapis roulant edonico”. Come fossimo su un tapis roulant, infatti, noi continuiamo a correre al di là della felicità che vogliamo raggiungere. Perché ciò che realmente stiamo facendo è alzare l’asticella. Nel momento in cui otterremo X, desidereremo Y. La ragione per cui non saremo mai soddisfatti è che la felicità non è un luogo di arrivo.

Come sanno bene le persone felici, infatti, la felicità è un processo. Ciò che queste persone hanno imparato è che noi non potremo mai dire di essere diventati felici. La felicità, infatti, è qualcosa che si coltiva giorno per giorno (la seminiamo, la fertilizziamo, la alimentiamo e, infine, la facciamo crescere). Essa dipende dalla nostra abilità di adattarci a ciò che troveremo durante il cammino. E noi dobbiamo adattarci, perché non esistono costanti nella vita: questa è una seconda ragione per cui la felicità non è una meta.

Ciò che le persone felici sanno bene è che lo scopo è la crescita personale, per cui ogni cambiamento nella vita (buono o cattivo che sia) offre l’opportunità di migliorarsi in questo processo di coltivazione della felicità.

La vulnerabilità è una debolezza

Ci viene insegnato di evitare gli errori, superare rapidamente le sconfitte, raccogliere i pezzi e ributtarsi nel gioco. “Qualunque cosa tu faccia, non mostrare la tua vulnerabilità”, sembra essere uno degli imperativi. Non dire mai “Sono indeciso”, “Non so come si risolverà”, “Non so cosa fare in questo momento”. E soprattutto, non chiedere aiuto, ma continua a giocare.

La vita, però, non funziona in questo modo, perché essa include la vulnerabilità, dal momento che noi abbiamo delle sconfitte, facciamo errori e siamo incerti. La chiave è quindi accettare la propria vulnerabilità. Come nota Brené Brown, nascondere la propria vulnerabilità non equivale alla felicità, ma alla vergogna. Inoltre, più proviamo a nascondere la vergogna, più siamo propensi a provarla e (ovviamente) ad essere meno felici e in equilibrio con noi stessi.

Le persone felici lo sanno: il coraggio di essere vulnerabili, di chiedere aiuto, di ammettere i propri errori, di chiedere supporto, non è dove la felicità finisce. Al contrario, è proprio lì che la felicità inizia.

La felicità può quindi essere sfuggente, ma non impossibile. Dovremmo iniziare a sfidare ciò che ci è stato sempre detto e insegnato, chiedendoci dove ci portano le varie assunzioni sbagliate sulla felicità e, infine, sforzandoci di trovare la nostra strada.

Fonte originale: PsychCentral
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Chi sono

dott. Andrea Epifani - Psicologo Bologna

Sono psicologo, psicoterapeuta cognitivo-comportamentale e dottore di ricerca.

Oltre a lavorare nel mio studio privato a Bologna, sono professore universitario a contratto di "Psicologia clinica" presso l'Università degli Studi di Urbino "Carlo Bo".

Le mie aree di intervento riguardano principalmente i vari disturbi d'ansia (attacchi di panico, disturbi ossessivo-compulsivi, fobia sociale...), i disturbi dell'umore e le problematiche relazionali.

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