Corso di meditazione mindfulness: intervista all’autore Ennio Preziosi

Se segui questo blog probabilmente già sai di cosa parliamo quando usiamo il termine mindfulness.

Se così non fosse, leggendo questo articolo potrai approfondire il concetto attraverso le parole del dott. Ennio Preziosi, un collega esperto in questo approccio.

Il dott. Preziosi ha infatti pubblicato per la Franco Angeli un libro di autoaiuto dal titolo “Corso di meditazione mindfulness. Conosco, conduco, calmo il mio pensare“, giunto alla seconda edizione.

Si tratta di un testo che, accompagnato da un’audioguida, permette al lettore di iniziare a sperimentare su se stesso l’utilità della mindfulness. Il tutto attraverso un programma di esercizi della durata di 8 settimane, scritto in maniera chiara e corredato da schede di autovalutazione che aiutano il lettore durante il percorso.

In un precedente articolo avevo già parlato dell’utilità dei libri di autoaiuto basati sulla mindfulness. Non dimentichiamo però che, come ci ricorda più avanti il collega Ennio Preziosi, per apprezzare pienamente le potenzialità di questa pratica diviene fondamentale la guida di un terapeuta esperto.

Corso di meditazione mindfulnessInoltre, nella seconda parte del libro, l’autore espone approfondimenti sulla storia della mindfulness, sui meccanismi cerebrali e cognitivi che sottostanno a questa pratica e sugli studi inerenti i correlati neurofisiologici.

Questa scelta, ovvero quella di corredare il testo di materiale proveniente dalla numerosa ricerca sulla meditazione mindfulness, rende il libro completo e in grado di stimolare la curiosità del lettore che voglia andare al di là degli esercizi pratici.

La parola all’autore, il dott. Ennio Preziosi

Ciao Ennio. Spiegaci in poche parole il concetto di mindfulness.

Ciao Andrea, mindfulness significa “consapevolezza” in un’accezione che diventa chiara se scomponiamo la parola mind-ful-ness: otteniamo così “mente-pienezza-attitudine”.

La mindfulness quindi è uno stile di vita improntato ad una conoscenza ed un’attenzione piena e profonda di ciò che accade nella nostra mente, qualcosa che interessa davvero tutti e che è possibile esercitare appieno con delle tecniche di meditazione.

La mindfulness è anche una corrente psicologica secondo la quale i disagi nascono quando lasciamo che la mente, in larga parte fuori dal nostro dominio, venga trascinata da convinzioni, giudizi e stati emotivi che non sempre sono l’esatto riflesso della realtà delle cose o l’unico modo di vedere le cose.

Molti ritengono che la mindfulness sia una tecnica di rilassamento, mentre sappiamo che non è così. Puoi spiegarci le sostanziali differenze?

Una tecnica di rilassamento ha un risultato da perseguire, pena il fallimento della tecnica stessa: distendere il corpo, calmare la mente ed in qualche misura, distoglierla dai problemi e dalle ansie.

Le tecniche di meditazione invece non hanno alcun obiettivo se non quello di permetterci di guardarci dentro, mentre proviamo a prestare attenzione a qualcosa, (un “focus”: ad esempio le sensazioni del respiro spontaneo). Si prova a prendere consapevolezza di quando e come questa attenzione vaga, senza giudicarsi e senza forzare l’attenzione, ma riportandola dolcemente al “focus” solo dopo aver preso consapevolezza anche di ciò che l’ha distratta.

Si può intuire che questo esercizio cerca proprio di consolidare un’attitudine a capire i meccanismi della mente e a guardare in faccia i problemi e le ansie, in un atteggiamento di osservazione calmo e immobile. A differenza delle tecniche di rilassamento, siamo invitati a osservare, non a cambiare, lo stato interiore e anzi a “mollare”, lasciar andare ogni pensiero che ci suggerisca una corsa al risultato, poiché spesso, nella vita, l’affanno che deriva dal rincorrere troppo le cose, ritarda o impedisce il raggiungimento di ogni risultato.

Mindfulness quindi è sincronizzarsi coi tempi e gli eventi della propria vita, è osservare con calma ciò che c’è, anche quando ciò che c’è non è affatto calmo!

Questo è un atteggiamento propedeutico indispensabile per lasciare spazio al cambiamento di ciò che c’è, ma che a volte porta ad un’accettazione che rappresenta già un superamento.

Oggi la mindfulness inizia ad essere nota anche tra i non addetti ai lavori, se non altro per sentito dire. Qual è secondo te il motivo di questa diffusione?

Sia che si parli di corpo e sia che si parli di psiche, ho l’impressione che stiamo imparando sempre di più a conoscere le nostre risorse naturali di guarigione e a capire che per lasciare queste risorse libere di agire nella loro perfetta e salvifica potenzialità occorre togliere anziché aggiungere, sgombrare il campo, disintossicare, silenziare.

La mindfulness, come tendenza di nuova generazione, fa suo questo modello terapeutico: con essa cerchiamo di sospendere reazioni, giudizi, rimuginii per fare spazio, un po’ alla volta e coi tempi necessari, ad un silenzio mentale che attiva o promuove il cambiamento verso la calma e la serenità.

Inutile dire che solo la guida di psicoterapeuti esperti può ottimizzare l’utilizzo degli strumenti di autoaiuto rinvenibili in libreria e scongiurare un utilizzo incauto di una disciplina molto potente, che ci mette faccia a faccia con gli abissi inesplorati del nostro mondo interiore.

Sempre a causa dell’attuale diffusione delle pratiche mindfulness, non credi che possa esserci anche una mitizzazione di questa pratica?

Temo che la sorprendente mole di studi che ne attestano l’efficacia in campo psicologico e medico e la gran quantità di materiale divulgativo pubblicato abbia già decretato una mitizzazione della mindfulness! E’ accaduto anche con la psicoanalisi nel secolo scorso.

Come mi hai portato a riflettere nella precedente domanda, sta a noi psicologi governarne l’utilizzo e soprattutto rispettarne i limiti e le controindicazioni.

Sappiamo ciò che la pratica della mindfulness permette di ottenere, ma forse sappiamo poco di ciò che NON permette di ottenere. In altre parole: quali sono i suoi limiti? Quando è opportuno che ceda il posto ad altre strategie terapeutiche?

Prima di modificare i contenuti della nostra mente, occorre modificare il rapporto che abbiamo con i contenuti della nostra mente.

La mindfulness permette di fare prevalentemente questa seconda cosa.

Quando abbiamo un disagio, di solito detestiamo ogni contenuto mentale relativo a quel disagio. La mindfulness invita a fare spazio, ad accogliere il disagio, ad ascoltarne i significati. Ciò significa guardarsi dentro con curiosità allargando i confini del “campo visivo” interiore, potenziando la capacità di “mettere a fuoco” pensieri ed emozioni con accettazione e giusta distanza.

Significa imparare a ritardare le reazioni che di solito travolgono noi stessi e gli altri in risposta alla prima cosa che ci passa per la testa. Significa coltivare sempre di più un sano dubbio sulla veridicità di ciò che ci passa per la testa, una sana tendenza a verificare i pensieri, ampliarli, trasformarli prima di farci trascinare da essi, sapendo che la mente mente.

Una volta sperimentata questa realtà e conseguita questa maggiore padronanza dell’attenzione e intimità con il proprio mondo interiore, la strada è ampiamente spianata per lavorare con altre strategie terapeutiche.

La mindfulness, è bene ricordarlo, è nata da una laicizzazione della meditazione. Ciò ha permesso di tradurre le pratiche millenarie buddhiste in un linguaggio più consono a noi occidentali, nonché di dare dignità scientifica alla meditazione. Nel tuo libro tuttavia fai anche dei riferimenti di tipo religioso. Credi che la dimensione religioso/spirituale sia fondamentale nella pratica della mindfulness? Non credi che ciò rischi di ridurne la sua portata? In fondo non tutti scelgono di seguire la via della spiritualità nella loro vita…

Io credo che come psicologi dovremmo prendere atto di una realtà, che è anche una risorsa: in fondo al cuore dell’essere umano abita la religiosità, il bisogno del trascendente, l’aspirazione ad una comprensione del mistero primo dell’essere-al-mondo, del senso della vita.

Questo bisogno lo spinge al di sopra della gravità della terra e al di fuori dei vincoli dei cinque sensi, i cui limiti sono noti alle neuroscienze.

Lo hanno ribadito, lungo il corso della storia della psicologia, molti autori, come Erik Erikson, che nella sua formulazione degli stadi di sviluppo dell’uomo dall’infanzia alla vecchiaia, vede nella ricerca della trascendenza il compimento delle realizzazioni umane e Carl Gustav Jung, che in tutta la sua produzione scientifica, ci insegna che non esiste guarigione completa che non comprenda anche una “guarigione spirituale”.

Laddove la religiosità si declina in religione, termina, ovviamente, il lavoro dello psicologo.

Attraverso le meditazioni, l’uomo ha sempre cercato una via che lo conducesse alla saggezza e a stati mentali favorevoli al vivere bene e alla compenetrazione con l’assoluto.

Fatta questa premessa e considerato che lo psicologo non deve far altro che accogliere e valorizzare le libere aspirazioni delle persone che si rivolgono a lui, se oltre all’aspirazione del vivere bene esiste anche l’aspirazione all’assoluto come esperienza e risorsa, come religiosità o anche come religione, allora la dimensione meditativa “sostiene” la preghiera e permette di riappropriarsi di una leggerezza e di un senso più profondo della ricerca spirituale.

Si tratta solo di un’alternativa attraverso cui “indossare” la mindfulness, come se fosse un abito su misura unico per ognuno di noi.

Personalmente ritengo che affacciarsi alla dimensione religioso/spirituale lungi dal ridurre la portata della pratica psicologica, può invece completare e far maturare il punto di vista sulla vita e può permettere di accedere ad una sorgente di forza in più.

Forse semmai è la pratica religiosa che dovrebbe urgentemente riappropriarsi della dimensione meditativa, al fine di dare un senso più profondo a quello che a volte rischia di ridursi ad un vuoto insieme di riti, gesti e formule verbali.


Ringrazio ancora il dott. Preziosi per questa intervista e rimando al suo testo per iniziare ad approfondire la pratica della mindfulness.Corso di meditazione mindfulness

Chi sono

dott. Andrea Epifani - Psicologo Bologna

Sono psicologo, psicoterapeuta cognitivo-comportamentale e dottore di ricerca.

Oltre a lavorare nel mio studio privato a Bologna, sono professore universitario a contratto di "Psicologia clinica" presso l'Università degli Studi di Urbino "Carlo Bo".

Le mie aree di intervento riguardano principalmente i vari disturbi d'ansia (attacchi di panico, disturbi ossessivo-compulsivi, fobia sociale...), i disturbi dell'umore e le problematiche relazionali.

Per appuntamenti o informazioni:
Studio: Bologna, Via Umberto Giordano 11.
Tel.: 389-0443350
Mail: andreaepifani@gmail.com
Sito: http://BolognaPsicologo.net

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