Sette luoghi comuni sulla figura dello psicologo
Rispetto a qualche tempo fa, oggi lo psicologo non è più visto come “il medico dei matti” e andare da uno psicologo è vissuto con meno vergogna rispetto al passato. Ad esempio a Bologna, città dove esercito la mia professione, lo psicologo è una figura abbastanza inserita nella realtà cittadina.
Ma cercando di fare un discorso su scala nazionale, mediamente (pur se con delle eccezioni) la percezione sociale del lavoro dello psicologo è cambiata. Oggi la gente è più informata circa l’importanza di affrontare problematiche emotive, di coppia, relazionali, con l’aiuto di un professionista qualificato.
Continuano però a persistere luoghi comuni sul lavoro dello psicologo, dettati da stereotipi e cattiva informazione. Talvolta anche la TV e i mezzi di comunicazione in generale alimentano un’immagine dello psicologo che non rispecchia il suo reale lavoro.
Prima di vedere i tipici luoghi comuni sulla figura dello psicologo, è opportuno però chiarire il significato di alcuni termini spesso usati come sinonimi: psicologo, psicoterapeuta, psicoanalista, psichiatra.
Psicologo. È un laureato in psicologia che, dopo un tirocinio di un anno, ha superato l’esame di stato di abilitazione alla professione, iscrivendosi quindi all’Ordine degli Psicologi della regione di pertinenza.
Psicoterapeuta. È uno psicologo (oppure un medico) che dopo l’abilitazione ha effettuato una scuola di specializzazione di durata almeno quadriennale e riconosciuta da MIUR. A differenza dello psicologo (che si occupa di diagnosi, consulenza, riabilitazione, supporto, promozione del benessere) lo psicoterapeuta si occupa della cura di specifici disturbi (come l’ansia generalizzata, la fobia sociale etc.).
Psicoanalista. Lo psicoanalista è uno psicologo o un medico che ha svolto anni di formazione in psicoanalisi (che è una branca della psicologia, ma non l’unica). La psicoanalisi è un metodo di cura con regole differenti: sedute più volte alla settimana, uso del lettino, lunga durata del percorso (si parla di anni). La maggior parte degli psicologi sono psicoterapeuti, ma non psicoanalisti. La psicoanalisi è quindi un viaggio interiore, con finalità e obiettivi differenti rispetto a quelli di una psicoterapia.
Psichiatra. È un medico con specializzazione in psichiatria. A differenza dello psicologo, può prescrivere farmaci. Talvolta gli psichiatri hanno anche effettuato un training in psicoterapia, per cui oltre al trattamento farmacologico possono proporre anche un trattamento psicoterapeutico.
Avendo specificato le differenti professionalità, in questo articolo spesso userò il termine generico psicologo anche quando in realtà mi riferirà alla figura dello psicoterapeuta.
Ecco allora 7 tra i più comuni luoghi comuni sul mio lavoro. Vediamoli prima attraverso questa infografica, in seguito verranno approfonditi uno per uno.
Bene, vediamo più in dettaglio questi pregiudizi e luoghi comuni sullo psicologo.
#1. Lo psicologo dà consigli
Falso. Innanzitutto l’articolo 4 del Codice Deontologico degli Psicologi chiede al professionista di “astenersi dall’imporre il suo sistema di valori”. Dare consigli di vita, quindi, non fa assolutamente parte del lavoro dello psicologo.
Se non fosse così, andare dallo psicologo e andare dal prete sarebbero la stessa cosa.
Ma se non da consigli, cosa fa?
Lo scopo di un percorso psicologico è di aiutare la persona che chiede aiuto a camminare con le proprie gambe, scegliendo in completa autonomia. Se una persona viene da me in studio parlandomi di una relazione complicata con la moglie, il lavoro non sarà certo decidere se egli debba lasciarla o meno. Piuttosto, si tratterà di esplorare le emozioni con le quali quella persona vive il suo rapporto, le sua paure, il senso di sicurezza che trae dal rapporto, il modo in cui si vede nella coppia, etc. Questa esplorazione emotiva darà alla persona nuovi strumenti per comprendere i suoi bisogni e per giungere a una decisione, ma il punto è che qualsiasi decisione egli prenderà, ci sarà arrivato da solo.
#2. Lo psicologo manipola la mente
Falso. Se così fosse probabilmente guadagnerebbe di più facendo il politico!
Scherzi a parte, manipolare la mente è un termine assolutamente non appropriato quando si parla dello psicologo. In genere i manipolatori della mente altrui sono i santoni o i guru delle sette, i quali (facendo forza sulla loro autorevolezza e sul loro fascino) approfittano della debolezza e delle difficoltà altrui per trarne un vantaggio personale.
Lo psicologo, invece, lavora cercando di mettere a fuoco in maniera più precisa le emozioni della persona, i suoi vissuti, i significati tramite i quali interpreta il mondo, i modi in cui si percepisce.
Uno degli scopi di un percorso psicologico è quello di aumentare la flessibilità della persona. Se per esempio un mio paziente si vede costantemente come un fallito, uno degli obiettivi sarà quello di provare a considerare questo suo modo di vedersi come uno dei tanti possibili. Il suo vedersi come un fallito avrà a che fare con la sua abituale modalità di dare significato alle cose che gli accadono. Aumentare la flessibilità significa far si che questo abituale modo di percepirsi sia visto in maniera più relativa e si associ a emozioni meno disturbanti.
#3. Lo psicologo, in fondo, è un po’ matto anche lui
Questo è il luogo comune che mi fa più sorridere. Capita spesso di sentire frasi del tipo: “quelli che studiano psicologia lo fanno per risolvere prima di tutto i propri problemi”, oppure “ascoltando tutto il giorno i problemi degli altri è facile diventare un po’ esauriti”. Vediamoli uno per uno:
“Quelli che studiano psicologia lo fanno per risolvere prima di tutto i propri problemi”. Quando ero studente ai primi anni mi è capitato di incontrare colleghi che effettivamente davano anche a me questa impressione. Col passare degli anni ho avuto le idee più chiare.
Quelli che sceglievano psicologia mossi unicamente da motivazioni personali, nella maggior parte dei casi, non li rivedevo più. Probabilmente, dopo aver sperimentato la fatica che studiare psicologia comporta, hanno cambiato percorso.
Il corso di laurea in psicologia comporta lo studio di materie ostiche, come statistica, neurofisiologia, psicopatologia, biologia, anatomia. Inoltre per diventare uno psicoterapeuta (quindi uno psicologo con una specializzazione quadriennale post-laurea in psicoterapia) si deve intraprendere un percorso lungo, faticoso e costoso, che nella migliore delle ipotesi durerà 10 anni.
È altamente improbabile che una persona spinta unicamente dal voler risolvere i propri problemi riuscirà a sostenere questo percorso.
In realtà chi sceglie di studiare psicologia generalmente lo fa perché ha una naturale predisposizione a prendersi cura di qualcuno e ad ascoltare, unita a un interesse per la mente e le relazioni umane.
“Ascoltando tutto il giorno i problemi degli altri è facile diventare un po’ esauriti”. Lo psicologo, durante il suo lungo percorso di formazione scritto sopra, viene formato anche per evitare il contagio emotivo e per mantenere la giusta distanza con i problemi del paziente. È proprio quella giusta distanza che gli permette di svolgere il suo lavoro in maniera efficace per la persona che gli chiede aiuto e per se stesso.
Non gestire bene questo aspetto può creare notevoli danni, e gli psicologi ne sono ben consapevoli.
Che sia chiaro che lo psicologo, essendo un essere umano come tutti, può avere dei momenti di difficoltà (anche lui purtroppo subirà dei lutti, delle separazioni, dei tradimenti, delle delusioni).
È anche per questo che lo psicologo, quando è necessario, va in supervisione, cioè effettua dei colloqui con un altro collega esperto, questa volta però stando dall’altra parte della scrivania. La supervisione permette allo psicologo non solo di affrontare al meglio il lavoro con i suoi pazienti, ma anche di gestire i suoi momenti di difficoltà in maniera tale che non interferiscano con la qualità del suo lavoro.
#4. Farebbe bene a tutti un percorso psicologico
E perché mai? Sarebbe come dire che farebbe bene a tutti fare delle sedute di fisioterapia. Non a caso, durante le prime sedute, lo psicologo valuta anche la necessità di un percorso psicologico e il tipo di lavoro che eventualmente bisognerebbe effettuare.
Inoltre, un percorso psicologico è utile solo se la persona è motivata.
Vittorio Guidano, un grande psicoterapeuta italiano, insisteva sul fatto che l’aumento di consapevolezza derivante dalla psicoterapia doveva essere visto quasi come un farmaco. La consapevolezza di sé, diceva Guidano, deve essere offerta nella giusta quantità, tale per cui migliora la condizione del paziente senza intaccare troppo la naturalezza con la quale vive la sua vita quotidiana.
Se si ha una vita soddisfacente, con buone capacità di gestire le difficoltà e di vivere le proprie emozioni, intraprendere un percorso psicologico non è necessario, come non servirebbe fare delle sedute di fisioterapia senza avere problemi neuromuscoloscheletrici.
#5. Lo psicologo si prende cura di quelli che non sono in grado di risolvere autonomamente i propri problemi
La giusta affermazione sarebbe “lo psicologo si prende cura di coloro che sono consapevoli di aver bisogno di aiuto per risolvere autonomamente i propri problemi”.
Lo psicologo, infatti, non risolve i problemi come fossero delle entità estranee da estirpare, ma aiuta la persona a ritrovare le proprie risorse personali per (autonomamente) cambiare in meglio la propria condizione. L’illusione di poter risolvere tutti i propri problemi da soli è uno dei motivi di aggravamento dei sintomi e delle problematiche.
La credenza alla base potrebbe essere: “chiedere aiuto vuol dire essere deboli”.
Interpretare le cose che accadono tramite la griglia “forte vs debole” è abbastanza comune, e spesso la rigidità di questo modo di dare significato è proprio uno dei motivi che portano all’aggravamento dei sintomi, ad esempio degli attacchi di panico.
In linea generale abbiamo sempre bisogno degli altri (in quanto animali sociali) e in determinati momenti della vita può essere necessario che questi altri siano persone qualificate e formate per questo scopo. Se il tubo del lavandino si rompe, posso inizialmente provare a ripararlo da solo, ma quando mi renderò conto che il problema è più serio di quanto pensassi, dovrò inevitabilmente chiamare un idraulico.
#6. Se ho degli amici che mi sostengono a cosa mi serve andare dallo psicologo?
Un’ampia mole di ricerche ha ormai dimostrato che avere una buona rete sociale è uno dei più potenti fattori di protezione contro disagi psicologico-emotivi, ma anche fisici. Questo però non ha niente a che vedere con il lavoro che si affronterebbe con uno psicologo.
Il ruolo degli amici e dei parenti è quello di sostenere, fornire sicurezza, offrire opportunità di svago, diminuire il senso di solitudine. Questi aspetti, come ho scritto, sono molto importanti per alleviare il disagio, ma spesso non sono sufficienti.
Il lavoro con uno psicologo è ben diverso, e consiste nell’iniziare a guardare se stessi e i propri problemi da altri punti di vista. Il lavoro sulle emozioni e sui propri vissuti che si fa andando da uno psicologo non è assolutamente possibile farlo con degli amici o dei parenti (nemmeno se psicologi).
Come dire: ad ognuno il proprio mestiere. Gli amici fanno gli amici, i parenti fanno i parenti, e gli psicologi fanno gli psicologi.
#7. Chi me lo fa fare di stare anni in terapia…
Spesso si crede che un percorso psicologico debba per sua natura essere lungo, ma non è necessariamente così. Questo dipenderà dall’entità del problema e dalla metodologia di lavoro adottata dallo psicoterapeuta.
Esistono infatti da diverso tempo le cosiddette psicoterapia brevi, che si focalizzano sul problema del paziente cercando di risolverlo in tempi limitati (ad esempio in tre, quattro mesi). Una volta raggiunti gli obiettivi di risoluzione della sintomatologia, si può continuare a lavorare andando più in profondità, oppure interrompere il rapporto terapeutico. Questo viene valutato insieme alla persona, e in ogni caso la scelta di non continuare ad approfondire le dinamiche più profonde non comporta necessariamente una ricaduta.
Si tratta semplicemente di livelli di lavoro differenti, ma l’equazione: più breve è il percorso più è probabile che avrò una ricaduta è smentita dagli studi che sono stati effettuati sulle terapie brevi.
Bene, questi sono i luoghi comuni che ho riscontrato più frequentemente. Te ne viene in mente qualcun’altro? Scrivilo nei commenti in fondo alla pagina.
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